15 novembre 2006

La verità, per favore.


Giuri di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Dica: “Lo giuro.”
Lo giuro.

Perché riesce così difficile dire la verità?
La verità può essere celata da una sapiente e premeditata bugia o da una semplice omissione.
Il primo caso, a mio parere, è più grave in quanto non solo non dici la verità ma mandi fuori strada l’interlocutore appositamente per tenerlo lontano da ciò che sai essere la verità.
Ovviamente mi riferisco ad una verità condivisibile, tangibile e non soggettiva. Verità che coinvolgono terze persone.
Le ragioni dell’omissione, invece, possono comprendere anche paura del giudizio altrui o tentativo maldestro di protezione nei confronti di colui che, a nostro parere, potrebbe non reggere il peso della verità.
Ma in entrambi i casi c’è la presunzione, non sempre consapevole, di pensare con il cervello/sentire con il cuore altrui.
Ci si mette su un gradino più in alto dell’altro e si decide al posto suo. E si considera inconsciamente l’altro non abbastanza forte.
Non solo. Penso anche che chi dice la verità debba avere la capacità di gestire e contenere un’eventuale reazione dell’altro.
Quindi: presunzione e debolezza.
Personalmente trovo incredibilmente stressante dire bugie perché si intraprende una strada impervia che, nella maggior parte dei casi, porta a dire ulteriori bugie di funzione rafforzativa rispetto alla prima, costringendo la lingua-biforcuta del caso a rimanere costantemente lucido e concentrato. Nel mio caso, il tutto sarebbe condito da mostruosi sensi di colpa e necessità costante e pressante di mettere fine alla malsana spirale di menzogne e panzane.
Lo stesso dicasi per l’omissione. Insomma, se ometto mi sento sporca. Come quando hai una fastidiosa macchia sulla giacca e hai la sensazione che tutti quelli che incontri non riescano a far altro che fissare quella macchia.
Dire la verità per me è una forma di rispetto, di stima ed umiltà.
Di forza.
Come tutte le cose della vita, anche il saper dire la verità è una cosa che si può imparare. Così come, si diventa più forti con l’esperienza. Le cose, teoricamente, potrebbero andare di paripasso. Ma al giorno d'oggi sarebbe praticamente una controtendenza.
Bisogna partire dal presupposto, però, che la forza intraprende sempre la strada della verità. Prima di tutto con se stessi e, in secondo luogo, con gli altri.
Ma essendo fermamente convinta che non esistono assiomi e postulati incontrovertibili e che le sfaccettature della vita sono sempre molteplici ed imprevedibili, ritengo che il buonsenso debba sempre essere chiamato in causa nell’affrontare le varie situazioni che la vita ci pone.
Perché, come scrisse uno dei miei poeti preferiti, William Blake, è vero anche che:
“Una verità detta con cattiva intenzione, batte tutte le bugie che si possono inventare”.


Avvertenze: Se qualcuno delle persone che amo si è in qualche modo sentito messo in discussione dal presente post, mi permetto di ricordarle/gli che non tengo mai questioni irrisolte e non approfonditamente chiarite. Quindi, lo scritto di cui sopra altro non è che una semplice considerazione personale a puro scopo analitico. Andate in pace.

08 novembre 2006

Biological Clock

E’ proprio vero che ad un certo punto della vita di ogni donna, comincia a farsi sentire una sorta di orologio biologico. O almeno, a molte accade.
Non parlo del guardarsi intorno ed accorgersi che il 70% delle tue coetanee ha il pancione o un umano in miniatura accanto. A quello, dopo le prime avvistate, fai anche l'abitudine. Parlo di quel piccolo lento cambiamento tutto femminile.

Certo, lento (l e n t i s s i m o) per me. Fino a qualche anno fa in fondo un simile pensiero non si azzardava nemmeno a toccarmi la coscienza.

Personalmente non ho mai amato troppo i bambini. Per carità, sono carini. Hanno quegli occhi da cuccioli che non lasciano indifferente nemmeno il cuore più duro. Ma di fatto non ho mai saputo, più che altro, come comunicarci. Se ci parlo facendo cucci-cucci, come fanno alcuni, mi sento una cretina.
Se ci parlo da adulta ho la sgradevole sensazione di non essere compresa.

Insomma, la mia difficoltà maggiore è stata quella di capire il target che avevo davanti e in che modo approcciarlo. Così, evitavo e basta.
Osservavo con distacco coloro che questa dote, invece, paiono averla innata.

L'istinto materno? Bhà! Ho sempre segretamente pensato fosse una balla, tramandata di mamma in figlia, per salvaguardare la specie e, dai pubblicitari, per vendere di più. Quasi ti fanno sentire in colpa se non ce l'hai. "Snaturata!"

Eppure, da qualche anno a questa parte, qualcosa di impercettibile in me è cambiata in merito alla questione.
Osservo le comuni attività genitoriali altrui e, riavvolgendo la pellicola appena vista nella mia mente, riscrivo la scena con me protagonista e le dò un apporto immaginario tutto personale.

Certo, “così è facile!” direte voi. Fra il dire e il fare c’è di mezzo un mare di: giusto-sbagliato-lavoro-stanchezza-ciclo-isteria-partner-nonni-urla-piagnistei
-insicurezze-esperienze-personali-quant’altro.

Però, qualcosa è cambiato. Forse il mio corpo si sta inevitabilmente preparando all’ipotesi di un tale sconvolgente evento coinvolgendo la mia mente con questi episodi di genitorialità immaginata.

Mai dire mai. "Te l'avevo detto! Sapevo che non potevi essere davvero una snaturata!"
Dovrei sentirmi più normale adesso? Non direi. Sono ancora fermamente convinta di certi meccanismi massonici.
In fondo se sei brava a leggere tra le righe, anche la mamma più devota si lascia scappare qualcosa.
Non fraintendetemi. Ciò che mi indispone è l'omissione. Il non dire certe cose perchè, visto che la maternità è una cosa sacra, se le dici sei quasi messa alla gogna.
E allora vai col patinato mondo della maternità e la famigliola perfetta di certi spot.
Mi sta bene. Ma smettiamola con questa ipocrisia che certe cose non vanno dette. Che dormire poche ore a notte è un dolce sacrificio e tutto il resto.
Che "Il dolore del parto? Ma figurati! Lo dimentichi subito!". Probabilmente perchè è un dolore talmente allucinante che il tuo cervello per non scioccarsi troppo tende a rimuoverlo prima possibile. O magari perchè da subito dopo il parto in poi hai tante di quelle cose a cui pensare per occuparti del nuovo arrivato che non hai nemmeno il tempo e la possibilità di dolerti.

Resta comunque il fatto che si, qualcosa è cambiato.

E forse, non si è mai davvero pronti per tutto questo.


06 novembre 2006

ComaBianco


***Consigli per la lettura di questo post:

Per stuzzicare orecchie e spirito: Washer dal cd Spiderland degli Slint (che puoi ascoltare nella nostra radio.blog)

Per le papille gustative: Marsh Mallows




Oggi vi parlerò di una parte del mio mondo-a-parte.
Si tratta della stanza del ComaBianco.
E’ tutto bianco qui dentro. Vedi alcuni oggetti. Ti sembrano familiari, ma appena socchiudi gli occhi per metterli meglio a fuoco, ti accorgi che c’è qualcosa di strano. C’è poco ed è distorto. Nonsense.

Analisi.

In questa fase della mia vita tendo a cadere spesso nella trappola della relatività.
Ogni concetto che, nella mia mente ha una sua logica ed un suo senso compiuto, tende a diventare relativo in una fase subito successiva, soggetto a domande tipo:
“Ma in un altro contesto sarebbe stata la stessa cosa?” o “Ma questa cosa letta da quest’altra angolazione non potrebbe avere un significato esattamente opposto a questo?”.
Capite che così diventa tutto un casino! Faccio una fatica enorme a rimanere concentrata.
In alcuni momenti, poi, tenere a mente le sensazioni è cosa quasi impossibile.
La pericolosità di questa trappola fa sì che il meccanismo tenda a svuotare di significato ogni cosa, scaraventandola subdolamente in una nebulosa molto simile ad un limbo in cui nulla accade veramente.

ComaBianco.

Ecco. Mi ero impantanata nel limbo di cui sopra e avevo perso, ancora una volta, la focalizzazione del problema.
Perché la trappola stessa annienta il problema e lo rende relativo.
Non mi sono fatta di nessuna droga. Lo giuro!
Dite che è più grave? Mi sa di si.. ma non tergiversiamo.

Spiraglio.

Immagino che in questa fase ci finiscano più o meno tutti prima o poi e non so fino a che punto il mio sfasamento ormonale mensile stia contribuendo adesso. Solo in parte, considerando che la cosa si verifica anche lontano da tali eventi.
Probabilmente molti di questi periodi passano in sordina perché si fa finta di nulla. Ma capita quella volta, come per me adesso, che decidi di prestarvi attenzione e.. tac! Sei fregato! Ci sei dentro.

E’ lì che Alice si trova a passare dal Paese delle Meraviglie ad un giro a tempo indeterminato nella Casa degli Orrori.

E’ la nebbia.
Metti i fari lunghi e peggiori la situazione.
Potrei mettere le quattro frecce e fermarmi a lato della strada.
Ma per quanto pigra, la totale inattività del cervello mi ammorba.
Così, spesso, confusa dal fastidioso obnubilamento della prospettiva e della memoria, tendo a dare colpi di acceleratore con la cieca speranza di diradare il velo lattiginoso che mi avvolge.
O forse sono solo banali colpi di coda dettati dalla paura istintiva, quasi animalesca, della perdita di controllo di ciò che prima era perfettamente chiaro e di mia padronanza.
O magari, ancora, umanissima paura del nulla.
Ad ogni modo, il danno vero si presenta quando qualcuno si trova sul percorso che faccio a velocità sconsiderata e senza seguire una linea retta.

Cura.

Basterebbe procedere con circospezione.
In fondo è solo un pò di nebbia. Una stupida nuvola bassa. Vuoi che non finisca?

Basterebbe che non ci fosse nessuno per strada.