28 dicembre 2007

Auguri. Burp.

Rieccomi qui.

Tornata dal mio Natale di famiglia in Abruzzo. Innanzitutto esorto le compagnie aeree a creare un benedetto diretto Catania-Pescara. Sono certa che il mio appello in questo blog farà la differenza :.). Non potete credere a cosa significhi raggiungere l’Abruzzo dalla Sicilia. E’ pazzesco. Anche volendo sorvolare sull’annosa questione della strada che collega la provincia di Ragusa a Catania aeroporto e sulla favola dell’aereoporto di Comiso che probabilmente i miei nipoti (qualora davvero decidessi di non porre fine al mio carosello di geni) un giorno useranno, tocca arrivare a Roma o Milano per poi prendere un altro aereo che ti porta ad Ancona o Pescara. Nel mio caso poi si sono aggiunte altre 2 ore di strada in macchina per raggiungere l’agognata destinazione.

Ovviamente il mio stato d’animo all’arrivo era un pò quello dell’emigrante: a metà fra lo sconvolto e l’eccitato per aver raggiunto la terra promessa.
Una volta a destinazione però l’accoglienza è stata assolutamente impareggiabile: affettuosi abbracci, camino acceso e tavolo imbandito di dolci e torte fatti in casa.
Dalle quantità e varietà di questi ultimi avrei anche potuto intuire il seguito, ma avevo già la bocca piena e, si sa, il cibo per me è come morfina.

Da quel gustoso incipit sono seguite 48 ore di maratona alimentare! Fra un boccone e l’altro abbiamo avuto il fugace sospetto che la famiglia della fidanzata di mio fratello, la quale gentilmente ci ha ospitati e che erano già stati nostri ospiti in Sicilia un pò di mesi fa, volesse in qualche modo vendicarsi di qualcosa attraverso il cibo. Ma il sospetto non ha avuto ovviamente il tempo di radicarsi nelle nostre menti per via della pressione dei nostri stomaci sul cervello.

Noi siculi, si sa, abbiamo un modo malsano di nutrire i forestieri: lo facciamo come se dessimo per scontato che la loro vita prima di conoscerci fosse fatta di fame e stenti. Ma dovete sapere che questo è nulla in confronto a ciò che fanno gli abruzzesi agli avventori :)

Loro si organizzano almeno una settimana prima, e forse più, che gli stomaci-ospiti arrivino. Intere famiglie si rimboccano le maniche e si infilano in cucina a produrre. I loro pranzi o cene nei giorni di festa viaggiano nell’ordine di: antipasto a base di salumi e formaggi, quattro tipi di primo, quattro tipi di secondo, ovviamente accompagnati da svariati contorni, e dolci senza alcun limite di numero.

Ovviamente anche in Abruzzo, come in gran parte dell’Italia, la cucina è ottima. Una cosa salata che vi consiglio di non perdere è il ciauscolo, saporito salame spalmabile tipico delle Marche. Quella dolce, i cillapieni (che tradotto in italiano significa letteralmente “uccelli pieni” per via della forma che ricorda un uccello), paste dolci a base di farina e vino bianco ripieni di marmellata d’uva e ricoperte di granelli di zucchero. Questi dolcetti mi hanno dato il benvenuto all’arrivo e l’arrivederci alla partenza. Fantastici.

Con la salivazione accelerata e con almeno 3 chili di tessuto adiposo in più addosso, vi faccio i miei migliori auguri di buon anno :)

10 dicembre 2007

Il viaggio

Mi hanno detto che sei partito, che non sanno se tornerai a farmi visita. Perché hai altro a cui pensare. No, non è che non pensi più a me, ma ora ti si apre davanti l'infinito. E quando hai davanti l'infinito, ti viene da correre, per vedere se davvero non ha fine questo infinito. Dunque, stai camminando per questa strada, alternando velocemente i passi come amavi fare con me, mio padre e mia madre, per le strade di una memorabile gita ad Assisi. O sul Ponte Vecchio di Firenze, sempre insieme a noi. Mi hanno detto che sei partito, c'è chi tenta di illudermi che sì, qualche speranzadi rivederti rimane. Che in fondo, anche se questo non accadesse, mi basterà chiudere gli occhi per rivederti. Io gli occhi li chiudo, e in effetti rivedo il tuo sorriso, carico di energia. Di quell'energia che permea in tutti i miei ricordi. Ma sai, è difficile riaprirli e abituarsi all'idea che, appunto, si tratta di ricordi. Mi hanno detto che sei partito, e ora in me si fa forte la convizione che sei partito veramente. Che non tornerai la Domenica pomeriggio per portarmi a pescare, con canne dozzinali fatte di rami e spaghi. Con le quali sapevamo benissimo che non avrebbe abboccato alcun pesce. Ma che importava: si stava insieme, andava benissimo così. Mi hanno detto che sei partito, e solo adesso, a pensarci bene, capisco che non tornerai. Mai più. E non hai idea di quanto male mi faccia quel "mai più". Mi conforta il fatto di averti accompagnato alla stazione, di essere rimasto con te fin a quando il capostazione ha fischiato la tua ora. Di averti stretto la mano quando ancora potevi vedermi, abbozzare perfino un sorriso, e averti detto "ti voglio bene". Perché lo so che lo sapevi che ti volevo bene, ma fa piacere sentirselo dire. E credo abbia fatto piacere anche a te.
Poi il capostazione ha fischiato. C'è chi lo chiama Dio, chi "Oscura Signora", resta il fatto che ho visto le porte chiudersi. Ti eri già appisolato sul tuo posto, come sempre facevi sdraiandoti sul freddo pavimento di marmo nelle caldissime estati che abbiamo trascorso assieme. Poi il treno è partito e in pochi secondi era già lontano. Tu con lui.
Mi hanno detto che sei partito, ma che non è così, perchè io sono fatto anche di te e di tutto quello che mi ha insegnato. Cazzo, quanto è vero, non ne hai idea. E scusami se ho detto "cazzo", mi avresti redarguito, lo so. Come so che il nostro è sempre stato un rapporto sincero, senza reverenze perchè tu eri lo zio e io il nipote. Perchè tu eri lo storico e io lo scrittore. Perchè tu eri un prete e io la pecorella smarrita che molti hanno visto in me (ri-scusa, ma le teste di cazzo c sono sempre). Eravamo Gigi e Ricky, più culo e camicia di quanto potesse sembrare. Eravamo? Siamo? Non lo so, non me la sento di dirti, in questo momento, che è tutto come prima. Perchè quel treno è distante, ma se fosse davvero un treno risponderesti al tuo telefonino mentre ti chiamo. Invece il telefonino è spento. E' dall'8 Dicembre che è spento e ormai ho perso la speranza che tu risponderai. Ho la sensazione, ma sono sincero è una sensazione, che tu mi stai osservando. Che ridi? Io piango come un disperato e tu ridi. Sento il tuo abbraccio, perfino tu che esclami "nipotastro che buona quella "cicoata" ". "Ma zio, era liquore al cioccolato quello!". "Ah sì! Buono lo stesso!". Ecco, mi piace ricordarti così, col sorriso comprensivo di chi ha già capito come andrà a finire. Sempre. E non come fanno i preti "normali", che ti sembrano distanti anni luce facendoti credere che Dio, Paradiso e Santi, si trovano in un'altra galassia. Tu Dio lo mettevi in mezzo alla gente. Eri un prete-operaio, uno che ha riunciato ai soldi della Curia per guadagnarseli lavorando come tutti. E dedicandoti come prete nei fine settimana, in quelle comunità che hai saputo creare da zero. E conquistare. Sempre. Sai? Credo che la Chiesa dovrebbe averli tutti così, i preti, ma non sono nessuno per prendere posizioni in merito. Perchè ora sono qui per salutarti. Non che non l'abbia fatto, ma non è mai abbastanza. Perché di solito il saluto è proporzionale all'entità del viaggio. E se quando sei partio per la Romania ti ho salutato con un abbraccio, e quando sei partito per il Brasile l'ho fatto con un abbraccio e un bacio; ora è giusto farlo in tutti i modi possibili, ma soprattutto con l'anima. Perchè il viaggio è stato lunghissimo, l'ultimo. Sai, non so davvero dove ti trovi ora,in quale luogo del tempo e dello spazio. Ma ti dico una cosa: di te ho sempre rispettato la grande intelligenza e mi conforta pensare che una simile intelligenza non possa essere stata sprecata dietro alla convinzione di un Dio che non esiste. Non eri il tipo da farti fregare un istante, figuriamoci una vita. E allora facciamo un patto sulla fiducia: Dio esiste, ma lasciami il tempo e il modo di capirlo di nuovo. Perché se è vero che Dio tutto può, poteva almeno lasciare mia madre e te in questa terra, per un po' di tempo in più. Non dico che me lo doveva, ma deve pur riconoscere il fatto che non gli ho mai rotto, con richieste assurde, bigotte, come quelle delle tribù primitive che chiedevano ai loro Dei la fecondità e la prosperità.
Non gli ho chiesto mai davvero nulla, nemmeno quando sul letto di un ospedale, mi dissero che mi rimanevano un paio di settimane di vita se le cose non miglioravano. Non gli ho chiesto nulla nemmeno allora. Mi sono rialzato con le mie gambe, sono tornato da solo alla vita. E ad aspettarmi, c'eri tu. Aspetta, non è che fossi tu, Dio?
Mi hanno detto che sei partito e che sì, tu eri Dio nella sua forma umana, in tutto quello che facevi e dicevi. Per me eri, sei e rimarrai semplicemente Gigi. Mio zio? Un prete? Uno storico? No, Gigi. Ti voglio bene, Gigi. Cazzo, non sai quanto. Ops, scusa.